Violenza di genere: il covid non ferma i femminicidi. Boom di chiamate al 1522. ISTAT: “Abbiamo registrato un aumento del 73% di chiamate rispetto al 2019”
Nell’anno della pandemia gli unici a non fermarsi sono stati dati i sui femminicidi. L’ISTAT rettifica: “Il 45,3% delle vittime ha paura per la propria incolumità o di morire; il 72,8% non denuncia il reato subito. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita.”
Solo nel 2020 sono stati commessi 91 femminicidi, una vittima ogni tre giorni. Ci sono state giornate terribili per le donne quest’anno che, a causa delle misure restrittive e del lockdown, si sono trovate chiuse in casa con i loro carnefici. I dati del nuovo anno annunciano l’aggravarsi della tragedia.
Per ora sono già 8 le vittime di questa strage silenziosa che l’agenzia dell’ONU per l’uguaglianza di genere
(UN woman) ha definito una “pandemia ombra”.
Violenza di genere: la situazione Italiana fra centri antiviolenza e il rapporto di ActionAid
Tra inizio gennaio e fine ottobre le chiamate al 1522 (numero antiviolenza e di supporto immediato per le vittime) sono raddoppiate rispetto all’anno scorso. Tuttavia a causa del covid il personale è stato dimezzato e molte strutture sono diventate inaccessibili. Insomma è stata una vera e propria emergenza nell’emergenza. Nell’ultimo rapporto di ActionAid, “Una via d’uscita dalla violenza”, realizzato nel quadro del progetto Europeo WE GO (Women Economic-independence & Growth Opportunity) si sottolinea come: “sia necessario chiedere alle istituzioni di sostenere i centri antiviolenza nel garantire lavoro e reddito alle donne che dicono no alla violenza.”
“L’82,5% delle donne che si sono rivolte ai Centri Antiviolenza” scrive ActionAid “hanno un basso livello di indipendenza economica e la metà delle intervistate ha subito qualche forma di violenza economica: il 22,6% dichiara di non avere accesso al reddito familiare e il 10,8% non può lavorare o trovare un impiego”.
Inoltre, secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA): “Il 39% delle donne che hanno avuto in passato una relazione violenta dichiarano di avere difficoltà economiche, contro il 26% delle donne che non hanno avuto partner violenti.” Oltre al sostegno dei centri antiviolenza appare evidente che il nostro governo dovrebbe creare dei luoghi segreti di sostegno dove le donne vittime di violenza possano rifugiarsi almeno per un certo periodo lontane dai loro carnefici.
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Violenza di genere: il nuovo piano antiviolenza
Al livello globale l’associazione UN woman ha lanciato anche l’allarme per quanto riguarda le donne sfollate e rifugiate che, in questo periodo, sono esposte a rischi maggiori. Secondo il rapporto ONU del 2018 oltre 21 milioni di persone sono vittime di tratta e schiavitù. Di queste il 59% sono donne che, non potendo vivere una vita dignitosa a causa di guerre e carestie, sono state costrette a migrare nei paesi europei. L’UNCHR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), in vista della discussione sul piano antiviolenza nazionale, ha presentato numerose proposte mirate per la diretta gestione dei fondi dei centri antiviolenza e si è focalizzata, in particolar modo, su un piano di aiuti concreto per le donne migranti. Il piano dell’UNCHR oltre a focalizzarsi sulla redistribuzione dei fondi, mira ad una cooperazione più vasta fra i vari enti statali in modo da rendere più facile il monitoraggio di situazioni a rischio e più efficaci gli interventi.
Le proposte sono state subito accolte dalla ministra delle pari opportunità, Elena Bonetti, che ha dichiarato: “Occorre promuovere la coerenza e individuare possibili forme di integrazione tra i Piani nazionali Antiviolenza e Antitratta, entrambi in corso di rinnovo e affrontare la sfida di far emergere la violenza invisibile subita dalle donne migranti e rifugiate”.
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