C’è qualcosa o meglio più di qualcosa di enormemente marcio nella nostra società. Non sembra possibile agli occhi di chi ragiona che qualcuno in queste ore stia cercando con morbosità il video dello stupro collettivo di Palermo. Eppure è così. Una società malata. Infatti soltanto un ambiente come il nostro poteva partorire persone come i sette che si sono macchiati di un reato indecente nonché gravissimo.
La caccia al video maledetto è aperta. Dopo che le foto dei volti dei sette ragazzi sono state diffuse e postate sui social hanno incassato milioni di visualizzazioni.
Quindi si sono moltiplicati anche commenti pieni d’odio. Inoltre sono stati creati profili fake con i nomi degli indagati, i quali annunciano querele. Su Telegram si sono formati gruppi con migliaia di persone disposte anche a pagare per vedere le immagini dello stupro di Palermo.
Non si sa nemmeno se questo video sia davvero finito in rete visto che uno dei sette avrebbe girato un filmato dello stupro ai danni della vittima di 19 anni e poi l’avrebbe condiviso con gli altri prima di eliminarlo.
Nonostante ciò sui social è caccia alle immagini dell’orrore, una frenetica ricerca per poter guardare con i propri occhi pieni di morbosità una povera ragazza mentre viene stuprata da sei persone mentre il settimo, l’unico che la conosceva, riprendeva tutto.
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L’avviso del Garante della Privacy: “Diffondere il video dello stupro di Palermo è reato”
Il Garante della Privacy ha avvisato che ci saranno “sanzioni anche per chi diffonde i dati personali della vittima e la rende identificabile”. Per la legge chi condivide del materiale illecito anche se fatto da altri rischia da 3 a 6 mesi di carcere.
In una nota si può leggere infatti: “A seguito di numerose notizie stampa su una ‘caccia alle immagini’ scatenatasi nelle chat, l’Autorità ha rivolto un avvertimento a Telegram e alla generalità degli utenti della piattaforma, affinché venga garantita la necessaria riservatezza della vittima, evitando alla stessa un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei a identificarla, anche indirettamente, in contrasto, peraltro, con le esigenze di tutela della dignità della ragazza”.
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Inoltre sempre il Garante della Privacy scrive che: “la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (articolo 734 bis del codice penale)”.
Foto in evidenza da Facebook di Non una meno – Palermo