Strage di Bologna: quel fortuito caffè che salvò la vita di Franco Baldoni

Strage di Bologna

Il 2 agosto 2020 è la giornata in cui si ricordano i 40 anni dalla Strage di Bologna

La vita di molte persone è stata completamente stravolta a partire da quel maledetto 2 agosto 1980: alle 10.25 di un sabato mattina, presso la stazione ferroviaria di Bologna Centrale, si verificò un attentato che viene tutt’oggi reputato uno dei più gravi degli anni di Piombo, assieme alla strage di piazza Fontana (1969), alla strage di piazza della Loggia (1974) e a quella del treno Italicus (1974).
L’esplosione, causata da un ordigno a tempo posizionato in una valigia abbandonata, fece 85 vittime ed oltre 200 feriti. Le indagini, ostacolate da numerosi tentativi di depistaggio, rilevarono collegamenti con gruppi di ispirazione neofascista, e alla fine vennero condannati estremisti che militavano nella Destra.
La questione su cui porre la luce è quanto, in momenti totalmente imprevedibili come questo, sia banalmente e tuttavia vitale l’influenza del caso. O, per meglio dire, del destino.

La storia del medico Franco Baldoni e del caffè che gli salvò la vita

Strage Bologna, Franco Baldoni
Strage Bologna, Franco Baldoni (foto dal web)

Franco Baldoni, all’epoca, era un medico di 37 anni operativo presso l’ospedale Maggiore di Bologna. A seguito di un estenuante turno di notte, lo attendeva il treno delle 10.40 che avrebbe condotto lui e sua moglie a Riccione, per un weekend.
Vedendolo stanco, l’infermiera Maria Dolores D’Elia gli propose di prendersi un caffè insieme, e il chirurgo, dopo aver scherzato un po’ con lei, accettò di buon grado.
Quell’imprevisto caffè fu proprio la circostanza fortuita che permise ai due coniugi di non trovarsi “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Il caffè già preso da Franco, infatti, fu il motivo per il quale la coppia non si fermò a far colazione presso il bar della stazione, che sarebbe poi stato colpito dalla bomba. Entrambi, giunti al binario, riuscirono a salvarsi grazie ai vagoni di un treno che fece loro scudo. Di quegli istanti, Franco ricorda bene ogni avvenimento: “Il panico. Chi correva, chi urlava. È stata mia moglie a prendermi per mano… Io riuscivo solo a dire ‘devo tornare in ospedale’ “. E così fece; si precipitò presso l’ospedale Maggiore dopo aver lasciato la moglie Nicoletta a casa, rimanendo in servizio per tutto il giorno:
C’era da organizzare, ancora senza primari che stavano rientrando di corsa dalle ferie. I feriti arrivavano in maniera incontrollata, il pronto soccorso era saltato”.

Quella di Bologna fu una strage che lasciò parecchi strascichi nella vita del giovane medico (e non solo); egli confessa infatti che, al tempo, l’evento a cui miracolosamente scampò lo fece sentire “più vecchio”.
E a proposito di Maria Dolores D’Elia, Franco dichiara di esserci rimasto in buonissimi rapporti, e che, per sdebitarsi, non le offrirebbe nient’altro se non un “banale caffè”.

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