Nuovi ed agghiaccianti dettagli emergono dall’indagine autoptica sul corpo della 29enne Giulia Tramontano, uccisa a Senago lo scorso maggio con 37 coltellate dal fidanzato 30enne Alessandro Impagnatiello al settimo mese di gravidanza.
L’agonia di Giulia iniziava mesi prima della sua morte. “Non mi sento bene, mi sento drogata”, scriveva a dicembre ad una sua amica, scambiando quel sintomo per un malessere passeggero dovuto alla gravidanza.
E proprio nello scorso inverno il barman ha fatto delle ricerche in rete su come avvelenare una donna incinta e come avvelenare un feto.
Nel sangue e nei capelli di Giulia Tramontano, così come nei tessuti del piccolo Thiago che portava in grembo, sono state trovate tracce di bromadiolone, un anticoagulante altamente tossico usato come veleno per topi.
Il barman le somministrava da tempo il bromadiolone nelle bevande calde. Non contento, ha cercato online i motivi per cui la donna non fosse ancora morta, scoprendo che le bevande calde depotenziavano gli effetti di quel veleno, la cui somministrazione è stata significativamente incrementata nell’ultimo mese e mezzo.
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Giulia Tramontano è morta dissanguata dopo l’ultima coltellata inferta
Ma non è finita qui, l’agonia di Giulia Tramontano si è protratta ben oltre le attese. Dopo la 37esima coltellata, la giovane donna infatti era ancora viva. La morte è stata provocata dalla grossa quantità di sangue che ha perso.
Dalla consulenza autoptica è emerso anche che Giulia sia stata colpita di spalle. Non essendoci segni di tagli su mani e braccia, è caduta la versione di Impagnatiello secondo cui la compagna si era provocata volontariamente delle lesioni prima di essere colpita. Scartata anche la versione secondo cui lei abbia tentato di difendersi.
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Le ipotesi formulate dagli inquirenti hanno dunque trovato conferma, e si appesantisce ulteriormente il quadro delle aggravanti a carico del barman.
Foto in evidenza da Facebook @giulia.tramontano.5