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“La zattera di Géricault” di Carlo Longo al San Ferdinando apre la stagione teatrale 2022-2023

Conferenza stampa di presentazione dello spettacolo "La zattera di Géricault" di Carlo Longo per la regia di Piero Maccarinelli: sarà in prima nazionale al teatro san Ferdinando giovedì 27 ottobre. In questo articolo anche l'intervista al drammaturgo e a uno degli interpreti
Teatro san Ferdinando la zattera di Géricault

Il 27 ottobre 2022 debutterà in prima nazionale al teatro San Ferdinando di Napoli lo spettacolo “La zattera di Géricault“, scritto da Carlo Longo per la regia di  Piero Maccarinelli. Lo spettacolo sarà in scena al teatro san Ferdinando dal 27 ottobre al 6 novembre 2022.

Nella giornata di martedì 25 ottobre la conferenza stampa nel foyer del teatro San Ferdinando (piazza Eduardo De filippo, 20) alla presenza del drammaturgo Carlo Longo, che ha pubblicato il testo nel 2019, del regista Piero Maccarinelli e degli interpreti: Lorenzo Gleijeses (Theodore Géricault), Francesco Roccasecca (Louis Alexis Jamar), Claudio Di Palma (Alexandre Corréard), Nello Mascia (Jean Baptiste Caruel), Anna Ammirati (Alexandrine Caruel).

 

teatro san ferdinando la zattera di Géricault
“La zattera di Géricault” al teatro San Ferdinando con Nello Mascia (Jean Baptiste Caruel) e Anna Ammirati (Alexandrine Caruel)  (Credits ©Ivan Nocera)

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L’opera teatrale riprende il dramma dell’artista Theodore Géricault, che vede rifiutata l’opera alla quale aveva lavorato ininterrottamente per due anni e che oggi è stimata come uno dei capolavori del Louvre: “Le Radeau de la Méduse(La zattera della Medusa).

Nel dipinto originale di Géricault, viene narrato il naufragio della nave Meduse, nel quale centoquarantasette persone furono abbandonate in mare su una zattera a causa dell’incapacità del loro comandante, Alexandre Corréard, scelto unicamente per la sua fedeltà al regime borbonico. Di essi solo quindici sopravvissero, a fronte di macabri episodi di cannibalismo e follia allucinogena, tra cui lo stesso Corréard, che chiese l’intervento del giovane artista per raccontare e denunciare le inefficienze dell’intera macchina politica francese.

Ma il dramma non è unicamente artistico: è così che “La zattera” diviene la rappresentazione del naufragio, intimo e personale, dell’artista stesso che vive la sua storia d’amore travagliata con la moglie dello zio Jean Baptiste Caruel, Alexandrine, di solo qualche anno più vecchia e nella quale sembra rivedere la figura della madre, prematuramente scomparsa.

Il testo di Longo – afferma il regista Piero Maccarinelli – segue il percorso dell’artista ma al contrario. Dall’esposizione dell’opera terminata si risale alla sua giovinezza, ai complicati rapporti con gli zii in un percorso esistenziale e artistico di grande fascino. Rabbia, delusione amorosa, indignazione civile e politica, totale incertezza del proprio destino ci accompagnano in questo percorso che per molti versi sfiora la contemporaneità quando la zattera si fa emblema delle navi dei migranti nel nostro mediterraneo. Ma fortissima è la centralità del percorso dell’artista fra amici e nemici complici e no. Un viaggio a rebours nella complessità della creazione artistica che si fa specchio deformante della società

Ma per scavare ancora più a fondo nella genesi di quest’opera – e questa volta stiamo parlando del lavoro di Carlo Longo – abbiamo voluto chiederlo a chi direttamente (e sotto profili differenti), l’ha vissuta: la parola, dunque, all’autore drammaturgo, Carlo Longo, e ad uno degli attori, Francesco Roccasecca (Louis Alexis Jamar).

“La zattera di Géricault”: la genesi del dramma spiegata da Carlo Longo

 

teatro san Ferdiando la Zattera di Géricault
“La zattera di Géricault” al teatro San Ferdinando. Da sinistra: Nello Mascia, Claudio Di Palma, Lorenzo Gleijeses, Francesco Roccasecca, Anna Ammirati (Credits: © Ivan Nocera)

Carlo, ci puoi raccontare la genesi de “La zattera di Géricault”? 

Partiamo col dire che io da sempre mi interesso di arte, studio arte, continuo a farlo perché è una passione non è semplice studio e rileggendo per la centesima volta, anni fa, la biografia di Géricault ho trovato questa piccola cosa, che probabilmente per uno storico dell’arte è solo una notizia ma per un drammaturgo o per chi aspira ad esserlo una cosa come questa è una pietra preziosa, una pietra grezza: la storia d’amore tra Géricault e la moglie dello zio materno. Allora non ho fatto altro che andare a lavorare quella pietra preziosa, grezza, che avevo avuto la fortuna di trovare: è così che nascono spesso delle storie. 

Che tipo di lavoro c’è dietro la scrittura di questa opera drammaturgica?

Il lavoro che c’è dietro è un lavoro estenuante, c’è un grande lavoro di ricerca innanzitutto perché devi farlo quando affronti personaggi storici però posso dire che è anche la parte più bella di tutto il lavoro perché “trovi” le cose. Questo è il momento esattamente più eccitante di tutti, non so descriverlo bene: non c’è niente di paragonabile al momento in cui trovi l’idea, al momento in cui sei “innamorato e felice” dell’idea… questa credo sia la sensazione più bella che posso prova’ nella vita! 

Quanto tempo hai impiegato per lavorare al tuo testo?

Come ho detto, dopo aver trovato la mia “pietra preziosa” ho iniziato a lavorarla, ho cominciato a scrivere: l’ho scritto in due settimane. Esattamente in due settimane avevo finito il testo. Mentre lo scrivevo, nel luglio 2016, mi sono stranamente reso conto che esattamente duecento anni prima, in quelle stesse due settimane nel luglio 1816, i naufraghi vivevano le loro due settimane sulla zattera. Saranno forse poche due settimane, ma il lavoro di ricerca che c’è dietro, quello assicuro che è tanto.

C’è un modello al quale ti sei ispirato per la scrittura della tua opera?

Va detto che ho preso in prestito la struttura drammaturgica ad Harold Pinter con il suo “Tradimenti”. La differenza è che Pinter ha lavorato con tre personaggi, io ho voluto inserirne due in più perché servivano e, devo dire, è stato abbastanza complesso mettere insieme e tenere cinque linee narrative, cinque storie differenti, senza contare poi i fatti storici realmente accaduti che dovevano coincidere in questo andamento a rebours, a ritroso, che avevo scelto. Quindi non posso che dire: grazie Harold! 

Che cosa vuol dire scrivere un testo drammaturgico da rappresentare in scena a Napoli e più in generale fare drammaturgia a Napoli?

Eh, fare drammaturgia a Napoli è un onore e debuttare con uno spettacolo qui dovrei cominciare a dire solo delle banalità, siamo un po’ in luogo sacro. Prima sono salito sul palcoscenico e sono sceso abbastanza velocemente: ecco, è un po’ come voler salire su un altare, senza voler apparire dissacrante, è un “altare” artistico. E il San Ferdinando, poi, è un tempio della drammaturgia per Napoli e per il mondo: è stato il teatro di Eduardo, è il teatro di Eduardo: qualunque cosa venga rappresentata qui o scritta per essere rappresentata qui si carica di un valore unico.

Qual è, invece, il tuo rapporto personale con Napoli?

Napoli è una città a me particolarmente cara: io tengo molto alla mia città, Roma, però alle volte penso a quanto sarebbe bello essere napoletano! Napoli mi piace, sì, è una città a cui sono legato sin da bambino e ogni volta che ci ritorno per me è sempre una grande emozione. È una città in cui ritorno molto volentieri perché ogni volta, qui, sto bene. 

“La zattera di Géricault”: Francesco Roccasecca è Louis Alexis Jamar

teatro san Ferdinando la zattera di Géricault
Francesco Roccasecca, interprete di Louis Alexis Jamar in “La zattera di Géricault” di Carlo Longo per la regia di Piero Maccarinelli (Credits: luisamancinelli.com)

Francesco, buongiorno e grazie del tuo tempo. Puoi raccontarci qualcosa del tuo personaggio e quanto c’è di tuo in lui?

Il mio personaggio è Jamar e inizio col dire che credo che qualunque artista si rispecchia un po’ in Jamar, secondo me, perché come spesso avviene quando si è al fianco di grandi artisti, inevitabilmente provano una forma non dico di inferiorità ma almeno di “soggezione”, forse. Il dramma che vive Jamar è un dramma che io ho vissuto quando ho iniziato a fare questo mestiere perché mi chiedevo continuamente “Ma io sono in grado di farlo?” “Forse è meglio lasciare?” “Sarà davvero il caso di continuare?”. Sicuramente il personaggio di Jamar ha fatto riaffiorare cose del mio passato che per fortuna nel presente non ci sono più. 

Chi potrebbe essere Jamar nel mondo reale? 

Io credo, come ho già detto, molti artisti che intraprendono una carriera connessa all’arte, in qualche modo ma credo anche che molti giovani possano rispecchiarsi in Jamar perché soprattutto l’arte del teatro non è una roba, un mestiere facile, anzi, in generale: stare al fianco di un grande artista non è facile: che si tratti della sua donna, di un amico o di un altro artista che vorrebbe diventare come il maestro. Sono tutti coloro che al fianco di un grande artista sono assaliti dai dubbi e questo, a dire il vero, rispecchia molto anche il me stesso di qualche anno fa, come ho spiegato prima.

Un’ultima domanda: che messaggio tu, Francesco/Jamar vorresti mandare ai tanti giovani che scelgono di intraprendere una carriera artistica?

Eh, bella domanda e bella responsabilità! Lasciare un messaggio io, a 26 anni, non so quanto possa essere in grado. Una cosa che mi ha aiutato tanto è stato pensare che per fare questo mestiere ci vogliono due ingredienti importantissimi, il primo è la pazienza. Noi giovani abbiamo tanta fretta, vogliamo spesso avere subito un risultato, qualcosa di concreto, raggiungere subito l’obiettivo, insomma: andiamo sempre veloci, colpa anche di una società che ci insegna che e non corri non arrivi da nessuna parte.

La prima cosa allora è fermarsi, prendersi del tempo: quando si affronta un lavoro bisogna dargli il tempo di sedimentare, di crescere. Questo ci porta al secondo ingrediente: lo studio. Chi vuole fare l’attore non può avere solo talento, deve studiare, è per questo che io ho scelto di fare l’Accademia, proprio qui in questo teatro. Per quanto uno possa nascerci, avere talento da solo non basta. 

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Un’ultima cosa che sento di voler dire ai giovani che vogliono diventare artisti: non tradirti mai. Non tradirsi significa riconoscere l’artista che sei e cercare di non ripiegare su altro perché è più semplice. Non è facile, è una scelta molto coraggiosa: sudore, salute, soldi. Però facendo questo io non posso tradirmi, perché questa è la mia attitudine, è quello che sento. E questa, forse, per mia fortuna, è ciò che mi distingue dal personaggio che interpreto, Jamar.

Lo spettacolo sarà in scena dal 27 ottobre al 6 novembre 2022.

Info e biglietti e abbonamenti alla stagione teatrale 2022/2023 su teatrodinapoli.it

Immagine in evidenza: © Ivan Nocera

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