“Il 64% degli italiani è riuscito in questo 2022 a concedersi le vacanze estive: quasi ovunque abbiamo visto superati i numeri del 2019 che pure è stato l’anno migliore nella storia del nostro turismo”. Sono queste le parole di Massimo Garavaglia, Ministro del Turismo e dello Spettacolo, alla fine di quella che si può certamente considerare, a conti fatti, un’estate record per il turismo italiano della Ripresa e della Resilienza.
Per quest’anno turistico estivo che volge ormai al suo termine, gli italiani hanno preferito tornare nelle mete nazionali visitate almeno una volta in precedenza, scegliendo – tendenzialmente – o località all’interno della propria regione, oppure mete situate nelle regioni limitrofe, privilegiando per questo 2022, l’uso della macchina invece che di altri mezzi di trasporto per raggiungerle (Fonte Istat).
È la vittoria della cosiddetta “vacanza a chilometri zero” in cui si ricerca soprattutto la località di mare (60%) o comunque lo spazio all’aperto (4%). La pandemia ha come moltiplicato questo tipo di propensione: una sorta di rivincita per le restrizioni subite lungo quasi due anni e mezzo di insicurezze e di semi-cattività.
Anche vista dall’estero, Penisola col tacco resta regina indiscussa del turismo europeo e mondiale: non decresce infatti il feedback positivo per la nostra capacità di accoglienza, per il clima eccellente, per l’enogastronomia e, ovviamente, non da ultimo, per la possibilità di arricchimento culturale.
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Sarebbe bello però porsi questa domanda: come sono cambiate le vacanze nel corso degli ultimi cinquant’anni nel Belpaese?
Occorrerà anzitutto una premessa: oggi, rispetto al passato, esistono certamente enormi possibilità per esplorare il mondo attraverso il viaggio. Non sorprende che i bambini abbiano già visitato destinazioni che i propri genitori e i propri nonni nemmeno si sarebbero sognati di raggiungere nel recente passato.
Col passare degli anni, anzi, grazie ad una maggiore accessibilità dei voli low cost e grazie soprattutto allo sviluppo della rete, sempre più spesso assistiamo al cosiddetto miracolo della “vacanza in un click”: destinazioni lontane in parallelo con quelle a corto raggio, vengono raggiunte con prenotazioni “all inclusive” di viaggio e sistemazione. E così l’intramontabile New York viene “acquistata” insieme ai nuovi paradisi emergenti di Dubai, Bangkok o Phuket, non mettendo però via nel sottoscala del demodé, la scelta di spiagge nostrane e popolari come Rimini, Sicilia o Costa Smeralda.
Parallelamente poi, nasce un nuovo interessante fenomeno: la voglia di consumare brevi weekend di fuga dalla routine cittadina. Oggi più del 30% degli italiani prende facilmente in considerazione una breve vacanza di svago o di cultura più di quanto non avrebbe pensato di fare dieci o venti anni fa. In generale, insomma, oggi oltre la metà dei nostri connazionali viaggia più di quanto non faceva dagli anni Settanta, destinando il 15% in più delle proprie entrate all’esplorazione sia del proprio Paese che del resto del globo.
Nei viaggi sembra prevalere sempre più un senso di avventura e di desiderio esplorativo, che si tratti di mete insolite e lontane o che si propenda verso la moda emergente dei piccoli borghi che sprona verso un turismo decisamente più slow e alternativo.
E così, paradossalmente, proprio quando ci pare di avere a che fare con un mondo sempre più ridotto in scala rispetto ad alcuni decenni fa (grazie ai progressi nei metodi di viaggio, di collegamento e di trasferimento), oggi i viaggiatori italiani, specialmente nel post pandemia, sembrano alternare il gusto dell’esotico alla scoperta del giardino segreto dietro l’angolo di casa che nessuno ancora aveva notato.
Ma quindi come nascono le vacanze all’italiana? Negli anni Cinquanta eravamo di fronte ad turismo decisamente per pochi e decisamente appunto non oltre il confine del giardino dietro l’angolo di casa. All’indomani della Seconda guerra mondiale, l’articolo 36 dell’appena nata Costituzione sanciva il diritto al riposo retribuito dei lavoratori.
Nascono così le cosiddette “ferie”, anche se effettivamente solo il dieci per cento degli italiani riesce ad andare in vacanza. Ed erano vacanze lunghe le prime del nostro dopoguerra: venti giorni concentrati ad agosto, con la chiusura totale di uffici e fabbriche, le città semideserte e i paesi che si riempivano di chi, in qualche modo, “tornava a casa”. Tra questi c’erano gli stranieri, loro sì, i veri vacanzieri.
Gli americani, i più attesi, quelli dalle mani bucate, che lasciavano mance da un mese di stipendio e che portavano sul suolo italico la bella “valuta pesante” che rimpolpava le casse, e perché no, salvava persino una stagione. Gli stranieri dell’intramontabile Grand Tour: com’è triste e bella Venezia, come è dolce Roma, come è attraente Firenze, e che fascino Pompei.
E così a suono di felliniane Fontane e di giri in Lambretta alla Audrey Hepburn, gli anni Sessanta con il loro Boom economico, portano la tutta italica “vacanza al mare” tra le conquiste sociali più irrinunciabili per il ceto medio, al pari dell’utilitaria, della televisione, del “Rischiatutto” e della lavatrice. La famiglia-tipo di quegli anni, parte tutta insieme per le vacanze, perché di automobile ce n’è solo una (quando si ha la fortuna di possederla). Una coda lunghissima di Seicento o di Topolino che luccicano al solleone – così ben cantate negli amarcord jazzistici di Paolo Conte – invade le novelle autostrade italiane da Nord a Sud.
Le prime infinite code ai caselli sono lo scotto da pagare se si vuole arrivare in quella pensioncina ligure o romagnola a godere di terrazze allineate sul mare, dove magari ci si saluta con la stessa famiglia dell’anno precedente oppure più giù al sud dalla nonna o dalla vecchia zia di Lecce o di Taormina dove il vento garrisce veloce insieme alle onde del mare ancora davvero blu.
La forza di quella bella Italia oggi scomparsa risiedeva proprio nel sentirsi gruppo, anche in vacanza: perché fare tutti la stessa cosa non portava vergogna e se il Cumenda in villeggiatura avesse finito per ridere prendendo sottobraccio l’operaio, tutto questo sarebbe stato evidenza di un Italia fresca, giovane, schietta, rinata che presto scoprì di avere poteri e idee che pian piano ci differenziarono ma che ci resero anche più cinici e meno sognatori.
E così è proprio con gli sfrenati e coloratissimi anni ’70 che diventa quasi “scontato” andare in vacanza con l’intera famiglia e per un mese intero. Rimini, Riccione, Cattolica, diventano le mete cult di quegli anni dorati. Quanta gioia riempiva il cuore dei giovani che ogni estate potevano contare sugli stessi “amici di stabilimento”: stessa spiaggia, stesso mare!
Negli anni Ottanta, con l’arrivo dei tour operator e dei pacchetti all-inclusive, le vacanze diventano sempre più internazionali. Gli italiani cambiano le loro abitudini, la pausa si dimezza a due settimane, da passare in quasi certamente qualche villaggio, nuovo eldorado dell’estate al mare. Ma la moda della vacanza internazionale è la regina incontrastata delle scelte da sogno dell’italiano del ceto medio-alto: Sharm el-Sheikh, Ibiza e St. Moritz per gli amanti dello sci.
Il nuovo millennio ha gettato altre prospettive sul modo di vivere le nostre vacanze. L’attacco alle Torri Gemelle che ha messo in discussione la sicurezza dei viaggiatori, la crisi economica mondiale, e il colpo di grazia della Pandemia da Covid-19, sono state le principali cause per le quali la maggior parte degli italiani ad oggi preferisce una vacanza entro i confini domestici.
I dati Istat ancora una volta parlano chiaro. La crisi e la diffidenza generale, anche se da un lato hanno diminuito di molto il potere d’acquisto e la prospettiva ottimistica degli italiani, non hanno fatto d’altronde calare il numero dei vacanzieri pronti a non rinunciare alla classica valigia estiva anche a costo di sacrifici durante tutto il resto dell’anno.
Le vacanze italiane, dunque, se nel corso dell’ultimo cinquantennio sono per certi aspetti inevitabilmente cambiate e passate sotto la dinamica di una naturale evoluzione di gusti, di sviluppo e di tendenze, per altri aspetti si sono mantenute forse abbastanza uguali.
Uguali nell’entusiasmo, nella curiosità della scoperta, ma ahimè uguali altresì nel numero comunque ancora troppo elevato di cittadini che, prevalentemente per ragioni economiche, ancora non riescono ad andare in vacanza. Uguali, perché il turismo tra gli italiani anziani è un fenomeno ancora piuttosto residuale; uguali, perché nel nostro territorio restano ancora troppo risicate le strutture ricettive specializzate per disabili o portatori speciali di handicap.
E se la vacanza merita di essere annoverata tra le questioni nostrane di studio e di ricerca, è perché certamente, come al solito, ciò che merita di essere migliorato e messo al primo posto in Italia è proprio la questione del Turismo e del Terzo Settore, così imprescindibili per un serio sviluppo sociale ed infrastrutturale della nostra nazione.
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Buona parte dei fondi del PNRR sono stati destinati, a partire dal 2021, al Turismo, alla Cultura e alle infrastrutture ad essi legate: speriamo che politica e cittadini ne sappiano fare buon uso.
Buon lavoro e buone vacanze a tutti, allora, ma proprio a tutti: dagli italiani con i capelli bianchi che hanno sognato da sempre una Topolino Azzurra a quei figli del futuro che ci auguriamo non guardino più il mare solo su YouTube.
A cura di Angela De Nicola