Al trentennale della strage di via D’Amelio a Palermo c’era anche Bennardo Mario Raimondi con il suo banchetto e le sue creazioni di artigianato in ceramica. All’artigiano siciliano è stata data la possibilità di esporre le sue opere direttamente da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice ucciso nell’attentato di stampo terroristico-mafioso il 19 luglio 1992.
Abbiamo intervistato Bennardo Mario Raimondi che ci ha raccontato la sua storia di denuncia ai suoi estorsori, essendo infatti stato vittima di usura e di varie minacce e avvertimenti da parte dei malavitosi della criminalità organizzata siciliana.
Intervista a Bennardo Mario Raimondi
Ciao Bennardo, raccontaci di te, della tua storia e delle denunce che hai fatto ai tuoi aguzzini.
“Sono 46 anni che faccio la mia attività di ceramista, scultore e presepista. Avevo una grossa azienda con circa quaranta dipendenti a cui davo lavoro e andava bene. Purtroppo ho avuto delle vicissitudini bancarie e ho dovuto chiedere dei soldi a delle persone che sapevo essere degli usurai.
Però all’epoca il lavoro andava bene e potevo permettermi di pagare anche loro. Poi però ci sono stati vari problemi: ho perso un figlio e un fratello, e poi il lavoro è cominciato ad andare male. Questi personaggi hanno iniziato a comportarsi come estortori, tra le altre cose hanno preteso anche della merce. A un certo punto sono stato costretto a chiudere e a vendere la casa. Ho perso il negozio perché non ho potuto più ripagare il mio debito alla banca e ho dovuto chiudere l’attività.
Io ho denunciato nel 2006 con non pochi problemi: la mia famiglia era contraria e non è stato facile denunciare. Durante il processo, che si è concluso nel 2013, e la fase istruttoria, mi hanno sparato alle gambe e mi hanno messo una bomba sotto casa. Mia figlia è stata minacciata ed è dovuta andare via da Palermo. Queste persone alla fine sono state condannate anche se ora sono tutte già fuori. Qualcuno ha avuto quattro anni, qualcuno sette: la giustizia in Italia non funzione per niente. Anche se devi fare 10 anni, per dire, dopo qualche anno sei fuori per buona condotta. Sono stato isolato, ho perso amici e parenti, non ho potuto più partecipare alle sagre e ho perso i clienti”.
Amici e parenti si sono allontanati, perché?
“Per paura delle ritorsioni, tanto che ormai a Palermo non ho più nessuno a parte la mia famiglia quindi mia moglie e l’altro mio figlio che è più piccolo. Oggi mi sono ridotto a vendere anche davanti alle chiese, ma anche qui non è facile perché c’è la pandemia, la guerra e la crisi che ha coinvolto tante famiglie. Sopravvivo elemosinando e con quello che riesco a vendere. Tante sono le promesse delle associazioni che poi non si realizzano come quelle delle istituzioni che all’ultimo non fanno niente. Quindi provo a vivere del mio lavoro con l’aiuto di mia moglie, vendendo online o andando in qualche chiesa che ancora mi ospita o a qualche fiera”.
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Non riesci ad avere un banchetto fisso a Palermo?
“No, ho scritto diverse volte al sindaco, sia quello di prima che quello che c’è ora ma nessuna risposta eppure sono l’unico artigiano in Sicilia che mostra dal vivo come si fanno le statuette a mano con l’argilla. Non mi hanno mai concesso nessuno spazio espositivo né nessun suolo pubblico”.
E secondo te perché?
“Secondo me è perché c’è indifferenza e omertà da parte delle istituzioni a cui non frega nulla della mia situazione e di quelli che denunciano. A Palermo ci sono 12 associazioni antiracket ma all’atto pratico non esistono altrimenti farebbero qualcosa per aiutare chi denuncia”.
Ma perché invece di rivolgerti a degli usurai non ti sei rivolto a una banca?
“La banca è stata proprio quella che mi ha rovinato. Mi avevano assicurato che avrei ricevuto un prestito quindi ho comprato casa e avviato i lavori di ristrutturazione poi non me l’hanno più concesso. A quel punto, con i lavori avanzati, ho dovuto per forza rivolgermi a quelle persone perché altrimenti avrei avuto problemi”.
Salvatore Borsellino ti ha aiutato…
“Con Salvatore Borsellino abbiamo fatto amicizia diversi anni fa, era il 2011 quando sono venuto a via D’Amelio a vendere le mie creazioni per la prima volta. È l’unica persona che mi ospita durante le commemorazioni perché sa in che condizioni mi trovo ed è molto vicino a me, mentre alle altre celebrazioni che si tengono a Palermo nessuno mi invita”.
Come vi siete conosciuti tu e Borsellino?
“Attraverso alcune persone dell’associazione Agenda Rossa che, data la mia situazione, volevano presentarmelo. Poi un anno sono venuto a via D’Amelio per partecipare alla commemorazione del giudice Paolo Borsellino e da quel momento siamo diventati amici”.
Nonostante tutto, quant’è importante denunciare?
“Denunciare è l’unica cosa. Lo Stato però deve capire che è importante essere solidale e aiutare chi ha avuto il coraggio di farlo altrimenti non denuncerà più nessuno”.
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Qual è per te il significato di oggi?
“Commemorare è giusto ma è ancora più giusto fare memoria. La commemorazione altrimenti serve solo ad alcuni personaggi e associazioni per fare passerella. Memoria invece vuol dire ricordare cosa hanno fatto Borsellino e Falcone, l’esempio che hanno lasciato e cosa dobbiamo insegnare in futuro ai nostri figli”.