L’incendio di Smirne, la strage impunita: sono 100 anni dalla catastrofe dell’Asia Minore

Cento anni fa l'incendio che distrusse Smirne, allora una delle città più cosmopolite del mondo. L'atto finale di una pulizia etnica fatta su larga scala e che ha cancellato tutte le comunità cristiane dell'Anatolia
Smirne Asia Minore

Nelle settimane scorse le autorità turche hanno più volte minacciato la Grecia con allusioni alla cosiddetta «grande catastrofe», evento storico festeggiato invece da Ankara come la nascita dello Stato moderno turco. “Abbiamo solo una parola da dire alla Grecia: non dimenticate Smirne” ha avvertito il 4 settembre scorso il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Un richiamo ad uno degli eventi più tragici della prima guerra mondiale, che proprio quest’anno vede ricorrere i 100 anni: un evento ricordato da tutto il paese attraverso ricorrenze, documentari e un film, uscito ad inizio 2022, del regista Grigoris Karantinakis e intitolato “Smyrni mou agapiméni” (tradotto “la mia amata Smirne” ).

Per un governo turco che chiede l’annessione delle isole greche a largo delle coste dell’Asia Minore c’è più di un motivo storico e culturale da parte greca nel sentire come proprie quelle città sulla costa e non solo: Smirne, Pergamo, Alicarnasso, Efeso, Pergamo, Trebisonda e per finire la stessa Costantinopoli, l’unica vera capitale dell’ellenismo per citare Helene Glykatzi-Ahrweiler, città che hanno scritto e che sono parte integrante della storia di questo paese.

L’Asia Minore e la Ionia terra greca da millenni

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Le rovine dell’antica Smirne (foto greekcitytimes.com)

La presenza greca sulle coste dell’Asia minore è millenaria, e non è un caso che in tante popolazioni mediorientali si riferiscano al popolo Greco con il termine “Ionia” o “Ioni“, identificandoli come abitanti di quella regione.

Il triste epilogo di quella presenza fu il 1922: per Grecia e per il neonato stato turco la prima guerra mondiale ebbe un’appendice di altri quattro anni, in cui il gioco delle grandi potenze prima illuse l’allora primo ministro Venizelos di poter compiere la Megali Idea (tradotto, l’unificazione di tutte quelle terre storicamente appartenenti al mondo ellenico), poi aiutò Mustafa Kemal nella riconquista dell’Anatolia. 

I mikrasiates (così venivano e vengono chiamati i greci dell’Asia Minore) erano oltre tre milioni, ed erano in netta maggioranza nelle principali città dell’allora impero Ottomano come appunto Smirne e Constantinopoli (che solo dal 1930 ha visto il suo nome cambiare in Istanbul): cittadini che furono cacciati e spediti al di là del mar Egeo, in uno stato che contava allora su una popolazione di sei  milioni di persone.

Uno sconvolgimento demografico immane, che portò, oltre al disagio sociale e ai lutti, anche a una faticosa, ennesima rinascita della cultura greca, grazie all’integrazione di quei nuovi cittadini, carichi di storia, cultura, nuove lingue, nuove usanze, e una tradizione musicale che si diffuse e contaminò indissolubilmente quella preesistente.

L’incendio di Smirne (13-17 settembre 1922): cronaca di una strage annunciata

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Una cartolina di Smirne dei primi del ‘900, con il suo suggestivo lungomare (foto Flickr)

La città di Smirne, multietnica e cosmopolita, prima dell’incendio contava 370.000 abitanti di varie culture. La popolazione numericamente prevalente era quella greca con 165.000 unità, seguita da quella turca (80.000). Altre comunità consistenti erano quella ebraica (55.000 persone) e armena (40.000).

Numerosi Armeni e Greci della città furono massacrati dall’esercito turco. Il metropolita ortodosso Crisostomo di Smirne (al secolo Chrysostomos Kalafatis), che rifiutò di fuggire con le truppe greche, venne linciato sulla pubblica piazza. Le sue orecchie, il suo naso e le sue mani furono tagliate mentre veniva sgozzato con un coltello.

I l racconto degli ambasciatori inglesi e americani di quei giorni è agghiacciante: una ricostruzione dei fatti da sempre negata dallo stato turco, al pari del genocidio armeno e di tutte quelle operazioni di pulizia etnica fatte prima dalle autorità ottomane e poi da quelle turche. 
L’incendio, con ogni probabilità doloso, distrusse casualmente solo gli antichi quartieri greco e armeno, insieme a quello “franco” (il quartiere degli europei, italiani compresi) di Smirne.

Le vittime tra i cristiani, morti tra le fiamme, massacrati o annegati buttandosi in mare, ammontarono a 30.000. Intere famiglie morirono, o sterminate dall’esercito turco o per annegamento, con le navi delle grandi potenze a largo della Costa che si rifiutarono di aiutare le migliaia di profughi che chiedevano invano aiuto.

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Episodi di una crudeltà inenarrabile, decisamente meno noti ai più rispetto al genocidio armeno o all’Olocausto, ma che hanno condizionato un popolo che ancora oggi porta i segni di quella tragedia. Per capire come siano sempre le popolazioni civili a restare loro malgrado vittime dei giochi di potere delle grandi potenze mondiali, ora come allora. 

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