Lady D e l’incidente che le fu fatale
La morte di Lady Diana, avvenuta nell’agosto del 1997 a Parigi, è sempre stata accompagnata da un velo di mistero e di incertezza. Stando alla ricostruzione dei fatti, la principessa si trovava in auto assieme al compagno Dodi Al-Fayed e a Trevor Rees-Jones, membro del corpo di sicurezza della famiglia Fayed; alla guida del veicolo vi era invece l’autista Henry Paul.
Le indagini addossarono la responsabilità dell’accaduto proprio a quest’ultimo, reo di aver assunto alcolici e psicofarmaci che lo avrebbero portato a causare il terribile schianto. Paul e Fayed – nonostante quest’ultimo abbia subito dei tentativi di rianimazione sul luogo dell’incidente – furono dichiarati morti da un medico sopraggiunto presso il tunnel di Place de l’Alma. Lady Diana invece, secondo le dichiarazioni dei fotografi, era ancora viva, ma le fu necessaria una rianimazione a seguito di un arresto cardiaco. Trasportata in ospedale, la principessa venne dichiarata morta poche ore dopo, in quanto le lesioni interne erano “fin troppo estese“.
L’unico sopravvissuto fu la guardia del corpo Rees-Jones, che, nonostante le gravi lesioni riportate sul volto, riuscì a cavarsela grazie al pronto intervento dei chirurghi.
I retroscena mai svelati sulla morte di Lady D
A distanza di oltre vent’anni da uno dei fatti di cronaca che più sconvolsero l’opinione pubblica emergono nuove testimonianze. Queste provengono da una coppia di coniugi, Robin e Jack Fireston, i quali sono convinti che alcune prove fondamentali nella ricostruzione della dinamica furono insabbiate. I due dichiararono che, nel luogo dell’accaduto, vi sarebbero state anche due macchine scure, ossia due macchine di servizio, le quali, tuttavia, non vennero mai menzionate nelle indagini successive. La coppia si disse sbalordita, in quanto, con parole loro, la polizia li avrebbe ignorati perché “pieni di testimoni“. Tale circostanza li portò a maturare con crescente convinzione l’idea che quello di Lady D non fu affatto solo un incidente.
Tra l’altro, le loro dichiarazioni coinciderebbero con quelle di un ulteriore testimone inascoltato, l’avvocato Gary Hunter, il quale affermò di aver visto due veicoli scuri nei pressi dell’incidente.
Queste vetture, nonostante ciò, non vennero mai identificate né chiamate in causa: tutta la colpa dello schianto ricadde infatti sull’autista, colpevole di essersi messo alla guida in condizioni inappropriate.
Tuttavia, la comparsa di questi retroscena potrebbe rappresentare un valido motivo per approfondire le dinamiche dell’incidente e, senza ombra di dubbio, per fare maggiore chiarezza.
Un mistero che s’infittisce e che però, parallelamente, si prepara ad esser sciolto. Difatti, i suddetti retroscena sembrano dar ragione a tutti coloro che, fin da subito, lamentarono la mancata volontà di scoprire effettivamente come andarono le cose, in quel 31 agosto di ventitré anni fa.