Quando la Banca d’Italia era la plancia di comando della lira, verso fine dell’estate del 1992, il bilancio statale era del tutto fuori controllo. L’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato imbastì una manovra che però venne bloccata da un ministro “pesante”, Paolo Cirino Pomicino.
Occorre ricordare che il disavanzo era dell’8-9% del Pil e il debito superava 120%. La difesa della lira era già costata interventi sul mercato per oltre 90mila miliardi. Dando per scontato una forte svalutazione, privati e imprese si indebitavano in lire per poter comprare i titoli in dollari e marchi.
La resa avviene il 12 settembre, quando, esaurite le riserve di valuta spendibili e in crediti che potevano essere ottenuti dalle istituzioni internazionali, il governo (il ministero del Tesoro era Piero Barucci) rinunciò alla difesa del cambio.
Per dare un senso di ciò che avvenne, basta ricordare che, una svalutazione del 7% decisa e concordata con i partners europei, le forze del mercato determinarono una nuova svalutazione di oltre 20% con un marco tedesco che raggiunse una quota 1200.
Negli anni successivi non era stata avviata e condotta un’azione di risanamento che per entità e rapidità stupì il mondo intero. Oggi l’Italia non farebbe parte dell’Unione monetaria la condizione della sua economia, il livello di vita degli abitanti, non sarebbe diversa da quella dei Paesi che hanno sperimentato la solvenza dello Stato, l’annientamento di risparmi e anni di inflazione a due cifre.
Oggi il rischio è che il dramma di quegli anni possa replicarsi è inesistente. L’euro ci assicura contro l’eventuale inflazione, di tassi di interesse a due cifre.
Non si tratta più di salvare il cambio o la credibilità di titoli emessi dello Stato ma di rispettare le condizioni per rimanere partecipe del sistema monetario europeo evitando di compromettere la vita delle generazioni future lasciando a loro debiti più gravosi. Per rassicurare il settore pubblico le risorse possono adempiere ai compiti che da esso i cittadini legittimamente si aspettano.
Cosa fece Giuliano Amato nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992

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Il 9 e il 10 luglio 1992 Giuliano Amato operò un prelievo forzoso e improvviso del 6 per mille su i depositi bancari. Un decreto legge per l’emergenza l’autorizzava a farlo mentre i mercati si accanivano sulla lira.
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Aumentando l’età pensionabile e quella patrimoniale sulle imprese, dalla minimum tax a l’introduzione dei ticket sanitari, dalla tassa per il medico di famiglia a quella straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale. I prelievi sui conti correnti fruttarono insieme 11.500 miliardi di lire.
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Le cose andranno diversamente da quanto Giuliano Amato sperava: la manovra di luglio e la Finanziaria sfioravano i centomila miliardi di lire, cosa che portò l’economia italiana nell’orlo della recessione. La lira dovette uscire dal “Sistema Monetario Europeo” tre mesi dopo quella notte di luglio, nella primavera successiva il dottor Sottile si dimise.